Luci e ombre dei Criteri Ambientali Minimi.

Luci e ombre dei Criteri Ambientali Minimi.
Febbraio 11, 2016 MDS

Cosa sono i Criteri Ambientali Minimi (CAM).

I “Criteri Ambientali Minimi” o “CAM”, adottati con Decreto Ministeriale dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) riportano delle indicazioni generali volte a indirizzare gli enti pubblici verso una razionalizzazione dei consumi e degli acquisti e forniscono delle “considerazioni ambientali”, collegate alle diverse fasi delle procedure di gara (oggetto dell’appalto, specifiche tecniche, caratteristiche tecniche premianti collegati alla modalità di aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa, condizioni di esecuzione dell’appalto) volte a qualificare dal punto di vista della riduzione dell’impatto ambientale sia le forniture sia gli affidamenti lungo l’intero ciclo di vita del servizio/prodotto. In altre parole, adottano l’approccio degli Acquisti Verdi o GPP (Green Public Procurement) che, come definito dalla Commissione europea, è quello in base al quale “le Amministrazioni Pubbliche integrano i criteri ambientali in tutte le fasi del processo di acquisto, incoraggiando la diffusione di tecnologie ambientali e lo sviluppo di prodotti validi sotto il profilo ambientale, attraverso la ricerca e la scelta dei risultati e delle soluzioni che hanno il minore impatto possibile sull’ambiente lungo l’intero ciclo di vita”. I CAM vengono quindi sviluppati da apposite commissioni nell’ambito del Piano d’azione nazionale per il GPP (PAN GPP).

Vista l’importanza dell’argomento, abbiamo accolto con estremo interesse il D.M. 24 dicembre 2015 (G.U. n. 16 del 21 gennaio 2016) che ha stabilito l’adozione dei CAM per l’affidamento di servizi di progettazione e lavori per la nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici e per la gestione dei cantieri della pubblica amministrazione. Il documento, di circa quaranta pagine, descrive i criteri ambientali – si badi bene – minimi che le amministrazioni pubbliche devono applicare per lavori di edilizia, se vogliono qualificare come “green” le proprie gare d’appalto. E il fatto che un appalto debba o meno essere “green” non sarà più una questione di nicchia, dato che già l’obiettivo nazionale per il 2015 era quello  di raggiungere una quota di almeno il 50% (in termini di numero e di importo economico) di appalti “verdi” sul totale di appalti aggiudicati. Obiettivo puntualmente disatteso, dato che in Italia solo il 9,3% degli acquisti è green, secondo CompraVerde-BuyGreen.

I CAM per l’edilizia pubblica. Un patchwork (a tanti colori).

L’iniziativa del MATTM non è estemporanea, dato che la nuova direttiva 2014/24/UE in materia di appalti pubblici del 26.02.2014 aveva già introdotto un’enfasi decisamente maggiore sull’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa con l’attribuzione di un punteggio tecnico a prestazioni ambientali e sociali più elevate per prodotti e servizi.

L’impressione che ricaviamo dalla prima lettura dei CAM è controversa. Resta l’idea di un tentativo encomiabile, ma di un’occasione mancata, attraverso una serie di contraddizioni, fughe in avanti, tentennamenti, diktat e palliativi normativi che di fatto renderanno i criteri di volta in volta inapplicabili, inutili, incompresi. È palese la scrittura a più mani e la mancanza di una regia “illuminata”, dove le varie “lobby” hanno tirato la coperta ora da una parte ora dall’altra, senza una visione globale equilibrata e mettendo sullo stesso piano principi fondamentali e questioni del tutto marginali. Ma c’è anche qualche elemento di novità che pone ottimismo sul futuro di un settore trainante per il Paese.

L’approccio olistico non s’improvvisa

“LEED, ma non posso” verrebbe da parafrasare. L’approccio alla sostenibilità della progettazione, costruzione, riqualificazione e gestione degli edifici non può che essere olistico, ormai è risaputo. Un esempio su tutti: USGBC lavora da più di vent’anni allo sviluppo del sistema di valutazione LEED, che è “voluntary, consensus, market-driven and based on proven technology” ovvero volontario, basato sul consenso, indirizzato al mercato e sostenuto da tecnologie garantite. Dietro USGBC c’è una macchina che conta più di 13.000 organizzazioni socie coinvolte nello sviluppo dello standard. Difficile riproporre nei CAM qualcosa di alternativo, senza percorrere un processo di sviluppo e condivisione adeguati. E quindi, si sarebbe potuto dichiarare semplicemente “Edifici sostenibili = Edifici certificati LEED”? Così il risultato è un insieme di prescrizioni (quindi “si deve” e non “si può”, il che sovverte la logica di LEED) che sono state estrapolate da LEED, ma senza un collegamento organico tra loro. E per non omettere il mondo dei protocolli ambientali, con l’aggiunta pressoché in ogni paragrafo del seguente testo:

Verifica: Per dimostrare la conformità al presente criterio, il progettista deve presentare una relazione tecnica, con allegato un elaborato grafico, nella quale sia evidenziato lo stato ante operam, gli interventi previsti, i conseguenti risultati raggiungibili e lo stato post-operam. Qualora il progetto sia sottoposto ad una fase di verifica valida per la successiva certificazione dell’edificio secondo uno dei protocolli di sostenibilità energetico-ambientale degli edifici (rating system) di livello nazionale o internazionale, (così, generico, in pratica sono tutti uguali, CasaClima, ITACA, LEED, BREEAM, Living Building Challenge, ecc.) la conformità al presente criterio può essere dimostrata se nella certificazione risultano soddisfatti tutti i requisiti riferibili alle prestazioni ambientali richiamate nel presente criterio. In tali casi il progettista è esonerato dalla presentazione della documentazione sopra indicata, ma è richiesta la presentazione degli elaborati e/o dei documenti previsti dallo specifico protocollo di certificazione di edilizia sostenibile perseguiti.”

Insomma, si poteva dire in premessa: se è LEED va bene. O comunque – “va bene un edificio certificato secondo un qualsiasi altro sistema per la valutazione degli edifici verdi rilasciato da un ente terzo, indipendente, imparziale, che sia stato accreditato o dimostri di possedere i requisiti richiesti dalla norma ISO/IEC 17021 e, quando disponibile, dalla norma ISO/IEC 17065.

Talmente restrittivo da risultare inapplicabile, con alcune incongruenze.

Dove il decreto dei CAM vuole essere “più realista del re”, i risultati sono inapplicabili, a volte contradditori e inspiegabili, anche perché si entra direttamente nel dettaglio di misure e numeri. Si badi che è quasi sempre un “deve”, più che un “può”, “il progettista deve”, “l’appaltatore deve”, ecc. Alcuni esempi:

  • Possesso da parte dell’offerente di una registrazione EMAS oppure una certificazione secondo la norma ISO14001 (tutto bello, ma quante imprese in Italia?).
  • Un’attenzione esagerata a tutti gli aspetti legati alla sistemazione aree a verde (si vede che la lobby dei paesaggisti era agguerrita …); il tasso (inteso come pianta) pare che sia altamente velenoso, quindi, bandito.
  • Scotico superficiale di almeno 60 cm (prescrizione che ricorre diverse volte).
  • Rimozione di rifiuti e di materiale legnoso depositatosi nell’alveo e lungo i fossi in caso di nuovi edifici vicini (quanto vicini?) a corsi d’acqua. Per quale estensione? E chi paga?
  • Copertura dei parcheggi (sempre devono) realizzate con pensiline fotovoltaiche a servizio dell’illuminazione del parcheggio (la lobby del fotovoltaico?)
  • Raccolta delle acque piovane per l’innaffiamento delle aree verdi e per gli scarichi sanitari (anche qui, obbligo).
  • Piano di manutenzione che deve includere anche le prestazioni ambientali, compreso il monitoraggio e controllo della qualità dell’aria interna dell’edificio.
  • Grande enfasi sul contenuto di riciclato, per qualsiasi prodotto (compreso quelli di legno).
  • EPD obbligatorie per praticamente ogni categoria di prodotti (compresi i rubinetti, per i quali forse era più urgente l’efficienza idrica e gli impianti aeraulici).
  • Verifiche (dal punto di vista ambientale) programmate dell’attività di cantiere da parte di un organismo di valutazione (?)
  • Dichiarazione da parte dell’impresa (in sede di gara) di quali materiali soddisfino il criterio della distanza produttiva dal cantiere (350 km), con il calcolo delle distanze percorse, ecc.

Good news

Le buone notizie sono almeno tre.

C’è un giro di vite sulla composizione chimica dei materiali e sulla messa al bando di prodotti contenenti sostanze dannose per lo strato d’ozono (sappiamo comunque che il buco nell’ozono si sta chiudendo, pare che ce la farà entro il 2050 – stime ONU). Sul primo punto, non sono ammesse sostanze elencate nella Candidate List o per le quali è prevista una “autorizzazione per usi specifici” ai sensi del Regolamento REACH (Registration, Evaluation, Authorization and Restriction of Chemicals). È qualcosa di molto simile alla Red List di Living Building Challenge.

L’altra notizia è appunto che grande spazio viene dato alle Environmental Product Declaration (EPD) ovvero le dichiarazioni ambientali di Tipo III, conformi alla norma UNI EN ISO 15804 e alla ISO 14025. Il settimo requisito del Regolamento 305/2011 (Construction Product Regulation, CPR) che prevede un uso sostenibile delle risorse naturali – “le opere da costruzione devono essere concepite, realizzate e demolite in modo che l’uso delle risorse naturali sia sostenibile” va nella direzione delle EPD (dove l’Italia è indietro di anni, non ha un Program Operator come altre nazioni e ha pochissimi prodotti per le costruzioni con questa dichiarazione). E quindi nei CAM, EPD obbligatoria per qualsiasi prodotto.

Infine al punto “Specifiche tecniche premianti” (non è obbligatorio ma dà punti nella gara d’appalto), nel caso di servizi di progettazione, viene introdotta la figura del “professionista accreditato dagli organismi di certificazione energetico-ambientale degli edifici accreditati secondo la norma ISO/IEC 17024”. Quindi, in pratica, il LEED AP (secondo GBCI), o anche il BREEAM Assessor (secondo UKAS). Non l’esperto ITACA, non il consulente CasaClima. Macro Design Studio c’è

Conclusioni

Ciò che ricaviamo è che questo decreto sui CAM probabilmente farà venire il mal di testa a qualche RUP (Responsabile unico del procedimento). Se era nobile l’intenzione, il risultato è così complesso e contraddittorio da diventare inattuabile, di certo nella sua interezza. Si sarebbe potuto ottenere un’azione più efficace (ma vedremo i riscontri nei prossimi mesi) nei confronti delle amministrazioni pubbliche o ammettendo in blocco i protocolli di sostenibilità degli edifici, senza ulteriori distinguo, oppure limitandosi alla stesura di Linee Guida. Nel primo caso un esempio viene dall’Olanda, che nel 2014 ha recepito l’utilizzo di LEED e BREEAM (in particolare LEED nella sua versione più recente v4, dimostrando un approccio innovativo del governo) come certificazioni idonee per ottenere un’agevolazione fiscale sugli immobili. Sul secondo punto, è chiaro che è più facile mettersi d’accordo sui principi che sui dettagli applicativi. Nel momento in cui stabilisco che devo “prevedere una superficie territoriale permeabile non inferiore al 60% della superficie di progetto” è evidente che magari in alcuni casi può andar bene, magari in altri no e poi perché 60% e non 55 oppure 65%.

E per concludere, i tanto proclamati aspetti sociali dei CAM si concretizzano in poche righe all’ultima pagina. Clausola sociale – I lavoratori dovranno essere inquadrati con contratti che rispettino almeno le condizioni di lavoro e il salario minimo dell’ultimo contratto collettivo nazionale CCNL sottoscritto. Verifica: l’appaltatore dovrà fornire il numero ed i nominativi dei lavoratori che intende utilizzare in cantiere. Inoltre su richiesta della stazione appaltante, in sede di esecuzione contrattuale, dovrà presentare i contratti individuali dei lavoratori che potranno essere intervistati (!) per verificare la corretta ed effettiva applicazione del contratto.

Ci mancherebbe altro.

Qui potete scaricare il decreto sui CAM per l’edilizia. Maggiori informazioni: info@macrodesignstudio.it